| dal 22 al 24 maggio ore 21,00; 25 maggio ore 25
I CUNTI DI MARTOGLIO
note di regia (Elio Gimbo)
Comincio queste note di regia con una confessione: il mio approccio a Martoglio è sempre stato problematico, ostacolato dal pregiudizio relativo ad una trita “sicilitudine” palla al piede delle nostre dinamiche culturali e che trova sempre qualcuno disposto a reiterarla; ho nutrito però questo pregiudizio sapendo al tempo stesso quanto fosse privo di fondamento, o meglio, quanto esso fosse diretto verso l'obiettivo sbagliato. La mia diffidenza non nasce da Martoglio quanto dalla vulgata ideologica che è arrivata a noi e che ancora si perpetua a Catania, ossia quella trasmessa da una piccola borghesia, sostanzialmente reazionaria, priva di valori; può darsi che questa patina discenda dall'ideologia e dai modelli culturali degli interpreti storici, da Musco in poi, travasata da essi nella drammaturgia martogliana; certamente questo orizzonte piccolo-borghese non appartiene a Martoglio, il quale di suo, fu un intellettuale progressista, molto interessato alla comunicazione, che, per molti aspetti, associo a Pippo Fava.
Sapevo che prima o poi questo equivoco andava chiarito con me stesso attraverso il lavoro, per farlo c'era bisogno di un'occasione, di ciò ringrazio Eliana Esposito, che ha messo insieme un bellissimo adattamento, e gli amici del Canovaccio.
Ad una attenta analisi Martoglio è chiarissimo su due aspetti: il primo è l'attenzione ai temi del lavoro e della connessione tra i suoi personaggi e la classe sociale di appartenenza, tutti i personaggi e le vicende martogliane hanno una chiarissima relazione con ambienti e modelli culturali ben precisi e, se si sta ai testi, si capisce quanto Martoglio trovasse vita e dinamismo nelle classi subalterne e quanto disgusto provasse invece per i piccolo-borghesi alla Nicola Duscio, il protagonista de “l'aria del continente”, il secondo aspetto riguarda la scelta del registro comico, necessario al fine della costruzione di un linguaggio che non cessasse mai di essere innanzitutto “popolare”; Martoglio, come Cielo d'Alcamo, come Sciascia, come Fava, fu un intellettuale borghese interessato ad un lavoro personale sulla cultura popolare e sui suoi stilemi linguistici e comunicativi, perciò direi che si inserisce nella migliore tradizione intellettuale siciliana; poi naturalmente i suoi interpreti e i suoi epigoni erano quello che erano!
Questo nostro allestimento parte da tali consapevolezze applicate al mondo della Civita catanese, dei pescatori e delle “lavannare”; uomini e donne alle prese con esistenze durissime come i loro mestieri, costretti a convivere con l'abituale presenza della morte; nella Civita di Martoglio si moriva costantemente, o in mare, o in guerra, o per via del colera endemico; perciò vediamo nei “Cunti” così tante donne, gli uomini o sono per mare o sono in guerra o sono già morti, chi scampa a questa sorte o è alla fame o è malandrino come Cosimo Cavallaccio. L'universo femminile di Cicca, di Sara o della prostituta Taddarita è fortemente segnato da queste piaghe; così come lo è quello di un'altra bellissima creatura martogliana: quel Procopio 'mpallacheri, splendido prototipo di piccolo intellettuale di provincia alle prese col disperato bisogno di emendare da questa disperazione sé stesso e il proprio quartiere; Don Procopio tenta disperatamente di dare senso e dignità alla pretesa di un figlio del popolo di potere vivere della propria cultura, di potere esercitare anch'esso una professione intellettuale, privilegio esclusivo dei ricchi e dei nobili; ci fanno ridere i suoi sforzi di parlare italiano, di educare i propri vicini di cuttigghiu, ma dietro quegli sforzi c'è la disperata vitalità di un popolano in cerca di riscatto; per intuirne la portata e l'attualità si provi a pensare ad un politico di governo siciliano che provi a parlare in inglese, troverete intatto il medesimo profilo tragicomico.
Quelli come Don Procopio non sono destinati a realizzare i propri sogni, la durezza della realtà catanese -ieri come oggi- non autorizza questa speranza, ma possono anticipare la direzione in cui si muoveranno le generazioni future, possono addirittura ammonirci sulla attuale perdita do contatto con la nostra comunità o con la classe da cui proveniamo. Don Procopio è il prototipo gramsciano di intellettuale organico alla propria classe, si provi a pensare alla dignità di questo personaggio in una Catania da decenni impoverota da una migrazione intellettuale di cui nessuno parla.
Gli uomini e le donne della Civita sono sì vittime di superstizione, ignoranza, di malattie come il colera scatenate dai loro stessi costumi igienico-sanitari; ma ci indicano una compattezza sociale ed una dignità che questa città sembra avere smarrito.
Elio Gimbo
Edited by eliana8 - 26/5/2008, 16:53
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