teatro del canovaccio

Cunfidenzi di Martoglio

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eliana8
view post Posted on 29/6/2009, 13:15




28 – 29 – 31 – MAGGIO
1 – 2 GIUGNO
(feriali h.21, domenica h. 19, sabato riposo)

TEATRO DEL CANOVACCIO
via gulli 12

I CUNFIDENZI DI MARTOGLIO
da Nino Martoglio
elaborazione del testo: Eliana Esposito
CAST
Cosimo Coltraro – don Procopio 'mpallaccheri;
Giuseppe Calaciura – Turiddu Leuriicasa;
Cinzia Caminiti – Mara 'Ntrichiti 'Ntrichiti;
Laura Giordani – Cuncetta a Sciabacota;
Fiorenza Barbagallo – Viulanti Peritunni;
Sabrina Tellico – Genia Peritunni;
Nadia Trovato - Cicca Stonchiti;
Gabriele Arena – Jacubu u Tamburineri;
Pietro Lo Certo – Ninu u Babbaleccu;
Francesca Penna – Nica;
Carmela Buffa Calleo – Madre, Tina aspirante canzonettista;
Raffaella Esposito – Figlia, Nunzia aspirante canzonettista;
Massimo Giustolisi – Luiginu;
Daniele Scalia – Messer Rana;
Orazio Sava - Messer Rapa;

ASSISTENTE DI REGIA – Davide Fascetta
SCENE – Bernardo Perrone
COSTUMI – Rosy Bellomia
REGIA – Elio Gimbo

info: 095/530761;
www.tatrodelcanovaccio.it



NOTE DI REGIA I CUNFIDENZI DI MARTOGLIO

La passata stagione confessai, presentando la regia de I Cunti, un mio sciocco pregiudizio giovanile sul teatro di Nino Martoglio, queste Cunfidenzi vogliono simmetricamente essere invece un atto d'amore. Ciò implica naturalmente l'ammissione che questo spettacolo di fine stagione al Canovaccio, è figlio del precedente che chiudeva la stagione scorsa; questo è possibile da una parte per le condizioni di lavoro “privilegiate” del Canovaccio; è difficile oggi per un regista poter contare sulla disponibilità di uno spazio così particolare e di un gruppo di lavoro vasto, variegato e di qualità, rendo quindi omaggio a tale privilegio; l'altra condizione, per questo secondo capitolo, riguarda l'interesse per un lavoro di approfondimento delle radici culturali socialiste di Martoglio. Nel lavoro sul testo Eliana Esposito ha concentrato ancora di più l'attenzione su quello che rimane il vero capolavoro martogliano: il giornale D'Artagnan; qui non è in discussione tanto l'interesse per il progetto editoriale di appoggio alle forze progressiste della Catania di allora, per quanto questo sia argomento affascinante ai fini di una analisi corretta della Catania di oggi, quanto la profondità di lettura di Martoglio delle dinamiche interne ai conflitti sociali, alle “dialettiche di classe” della società catanese, è qui che Martoglio ci offre una chiave per comprendere il presente, egli intuisce, da socialista, la possibilità letteraria di coniugare il “particulare” della Micro-Storia con l'Universale della Macro-Storia.

Il suo milieu culturale socialista gli permetteva la possibilità di visione, per allora abbastanza comune fra gli intellettuali ma nella omologazione contemporanea altrimenti persa o negata, delle dialettiche fra classi come motore primario ed ineliminabile della realtà. Di questo Martoglio si fa totalmente carico nel suo D'Artagnan: dal modo in cui affronta i meccanismi del comico, al modo in cui registra scrupolosamente, perfino nella grafia, le variazioni fonetiche del dialetto derivanti dalla diversa appartenenza di classe; già l'anno scorso Cosimo Coltraro lavorò su questo processo linguistico che riguarda “don Procopio 'mpallaccheri”, personaggio alle prese con una condizione storica della sua classe, pochi anni dopo l'unificazione nazionale, che si esprime compiutamente nella condizione linguistica di colui che sta a metà del guado fra “lingua madre”, il dialetto, e “lingua imposta”, l'italiano. Questa chiarezza di lettura delle crisi sociali, nel D'Artagnan ebbe modo di diventare consapevole tecnica drammaturgica, al punto da consentirgli la fase matura dei testi teatrali più famosi che portano a massimo grado tali presupposti di partenza. Non a caso l'aria del continente fu lodata in un famoso articolo dal giovane Gramsci, ma Martoglio sarebbe piaciuto molto anche a Georgy Lucaks, delle cui tesi sembra un geniale precorritore.

Ma cosa leggeva Martoglio nella stratificazione sociale cittadina che può essere utile con gli occhi dell'oggi? A mio parere il dato fondamentale è la tradizionale impossibilità storica delle classi subalterne di farsi protagoniste dei processi socio-economici della città, di “entrare nella Storia” della città, di partecipare ad un modello di sviluppo che favorisca un progresso economico diffuso; la Catania che vede Martoglio è già una città “immobile”, dove si muore nelle stessa posizione sociale in cui si nasce, e gli “umili” martogliani sono rassegnati a tutto questo. Ciò che colpisce degli scritti teatrali di Martoglio sul D'Artagnan, sono le condizioni disperate che fanno nitidamente da sfondo a tutti i personaggi poveri: colera endemico, guerre, analfabetismo, disprezzo della cultura borghese, arretratezza economica, scarsa mobilità sociale, cinico distacco relativo alla classe dirigente; queste condizioni sono probabilmente influenzate dal fatto che Catania è sempre stata periodicamente sconvolta da catastrofi naturali, una “città-cantiere” perennemente in ricostruzione può diventare facilmente, nel suo profondo, una città che non crede al cambiamento, alla convenienza del progresso; i sottoproletari martogliani vivono questo distacco dalla realtà che li circonda con apparente cinismo, nasce da qui il sarcasmo catanese.

Martoglio intuisce la potenzialità comica di questo particolare tipo di disadattamento sociale; ecco come, ad esempio, costruisce le sue “donne del popolo”, le sue Cicca Stonchiti, Mara 'Ntrichiti 'Ntrichiti, Violante Peritunni, etc. sono tutte donne incattivite dalla mancanza di speranza, sanno fin da piccole che l'unica possibilità di piccolo avanzamento sociale sta in un buon matrimonio, perciò trattano i figli come merce, come proprietà commerciabili secondo logiche di mercato feroci e spietate; i poveri di Martoglio possono sì, come Turiddu, arrivare a comprendere che può esserci un ideale collettivo di progresso, “U Suggialismu”, ciononostante affidano l'unica occasione di ribellione verso chi sta sopra nella scala sociale all'onore macchiato, e se il ricco e belloccio rampollo di famiglia, come in Nica, accetta di sposare la sorella compromessa, Turiddu u suggialista ripristinerà con un baciamano l'antica subalternità di classe.

Chiudo ribadendo la mia ammirazione per la potente lucidità intellettuale di Martoglio, per la nobiltà della sua condizione d'intellettuale borghese in grado di maneggiare la cultura popolare e di trarne autonomia di linguaggio. Già l'anno scorso faceva capolino in me la possibilità di un parallelo tra Nino Martoglio e Pippo Fava, non solo nella “militanza intellettuale” consapevolmente svolta riguardo la società catanese, lo suggeriscono in modo suggestivo assonanze biografiche e caratteriali: il giornale, il teatro, la morte.

Martoglio e Fava, bandiere di questa città; fari, che qualcuno, prima o poi, s'incarica puntualmente di spegnere.

Elio Gimbo
 
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eliana8
view post Posted on 20/2/2010, 13:56




Leggi l'articolo di Maristella Russo:

TEATRO, CONVINCE, DIVERTE E FA RIFLETTERE AL "CANOVACCIO" DI CATANIA "CUNFIDENZI DI MARTOGLIO", OMAGGIO DI ELIANA ESPOSITO ED ELIO GIMBO ALL'UNIVERSO MARTOGLIANO
2009-06-01 18:08:05



CATANIA - Continuano con successo fino a domani, 2 giugno, al Teatro del Canovaccio di Catania, le repliche dello spettacolo "Cunfidenzi di Martoglio", un omaggio al grande scrittore e autore teatrale catanese, per la regia di Elio Gimbo, scenografie a cura di Bernardo Perrone, costumi di Rosy Bellomia. L'elaborazione del testo è a cura di Eliana Esposito che ha voluto approfondire il socialismo di Martoglio e la sua capacità di cogliere nella Catania di allora le dinamiche sociali e i divari di classe vigenti. Per far ciò si è soffermata sugli scritti teatrali pubblicati sul giornale D'Artagnan, creato da Martoglio all'età di soli diciannove anni, che mostrano una città malata, infettata dalla piaga dell'immobilismo sociale, di fronte alla quale una rassegnazione velata di cinismo rimane l'unica reazione possibile da parte dei più poveri.

Lo spettacolo, in due atti, raccoglie in sè svariati episodi di vita nella "civita" tratti da "L’Altalena", "San Giuvanni Decullatu", "Nica", "Lu matrimoniu 'ntra la civita", "U vattìu". Si tratta quindi di un collage di pezzi martogliani sapientemente assemblati dalla Esposito che ha inserito e cucito insieme scene tratte da diverse commedie collegandole tra loro per farne un lavoro unico. Tante le tematiche trattate: il potere del vile denaro; il matrimonio, conteso e mercanteggiato in quanto unica speranza di un futuro più roseo per le giovani donne e soprattutto per le loro famiglie; il divario marcato tra le classi sociali; l'onore macchiato che si deve a tutti i costi salvare; il sogno di successo e fama nel mondo dello spettacolo pieno di lustrini; l'incapacità da parte del proletariato di fare gruppo per via di invidie e sospetti reciproci; l'ideale socialista della condivisione che non va più bene quando vengono toccati i propri interessi o messi a rischio i propri beni.

All'interno dell'opera fa poi spesso capolino il tema del giornale D'Artagnan, unico strumento di opposizione al potere costituito e unica forma di informazione per le masse, che alla fine della commedia verrà messo a tacere, come lo stesso Martoglio, sulla cui morte incombe ancora oggi l'atroce sospetto che non sia stata il frutto di un incidente, ma di ben altro.

Idea questa condivisa da Eliana Esposito e dal regista Elio Gimbo che, con la spinta di Luiginu a Don Procopio, alter ego dello stesso Martoglio, e la caduta sulla scena di una specie di asse con in cima un'ascia a mo' di ghigliottina, alludono alla supposta morte violenta dello scrittore, spinto giù per l'ascensore di un hotel catanese, e simbolicamente alla fine della libertà di parola.

La messinscena si chiude però con un finale di speranza che rispecchia l'ideale socialista di Martoglio: sulle note de "I migliori anni della nostra vita" rientrano in scena tutti i personaggi che sorridono e si abbracciano l'uno con l'altro, e l'ultimo degli ultimi, Ninu u Babbaleccu, timido e impacciato, si ritrova ad essere esaltato e onorato, coccolato da tutti.

Il regista ha poi individuato un parallelismo tra Martoglio e il compianto Giuseppe Fava, parallelismo al quale alludono scenicamente le due facciate del giornale sfogliato da Jacubu u Tamburineri: in una è riportato il titolo "D'Artagnan", nell'altra "I Siciliani", giornale diretto appunto da Fava. L'intento registico è poi rivelato apertamente da due quadri che li ritraggono, svelati da Don Procopio verso la conclusione della pièce. Tanti i punti di contatto tra i due: ambedue siciliani, intellettuali impegnati fattivamente per la difesa dei diritti civili, coraggiosi creatori di giornali di denuncia, drammaturghi, tolti di mezzo perchè ritenuti scomodi.

A modernizzare l'opera martogliana già di per sè attualissima contribuisce anche la scelta inusuale delle musiche, apparentemente stridenti con l'epoca rappresentata: brani di Gianna Nannini, Irene Grandi, Fabrizio De Andrè, Renato Zero, Francesco De Gregori introducono e chiudono le scene amplificandone il pathos e l'emozione e gridando un'ansia di libertà e di rivoluzione.

Numeroso il cast: Cosimo Coltraro (don Procopio 'mpallaccheri), Giuseppe Calaciura (Turiddu Leuriicasa), Carmela Buffa Calleo (Madre; Tina aspirante canzonettista), Cinzia Caminiti (Mara 'Ntrichiti 'Ntrichiti), Laura Giordani (Cuncetta a Sciabacota), Fiorenza Barbagallo (Viulanti Peritunni), Sabrina Tellico (Genia Peritunni), Nadia Trovato (Cicca Stonchiti), Gabriele Arena (Jacubu u Tamburineri), Pietro Lo Certo (Ninu u Babbaleccu), Francesca Penna (Nica), Raffaella Esposito (Figlia; Nunzia aspirante canzonettista), Massimo Giustolisi (Luiginu), Daniele Scalia (Messer Rana), Orazio Sava (Messer Rapa).

La scenografia riflette il messaggio generale con un ambiente misero, fatiscente, tappezzato di scritte che indicano il pericolo di crollo, pericolo che riguarda in realtà la società civile, oggi come ieri. Impeccabile il lavoro di regia, originale, che non calca mai i toni e dirige con sicurezza un cast affiatato. Bravi tutti, specie Cosimo Coltraro, efficace nel ruolo di Don Procopio. Entusiasmo da parte del pubblico in sala per un lavoro di qualità, nuovo e interessante, che sa far ridere, sorridere ma anche commuovere e riflettere, mostrando un aspetto meno immediato o scontato della drammaturgia del grande Martoglio.
(Maristella Russo)


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Leggi l'articolo di Maurizio Giordano

I cunfidenzi di Martoglio
di Maurizio Giordano


Dopo “I Cunti di Martoglio”, riuscito collage martogliano dello scorso anno, con la cucitura di opere del Belpassese quali “Martimonio ‘ntra la Civita”, “Civitoti in pretura”, “Don Procopiu mballaccheri” e “Taddarita”, con musiche di Luigi Tenco e Paolo Conte, quest’anno il Teatro del Canovaccio di Catania ed il regista Elio Gimbo, a chiusura di stagione, hanno proposto, sempre a cura di Eliana Esposito, "I Cunfidenzi di Martoglio", con la scenografia di Bernardo Perrone ed i costumi di Rosy Bellomia. Lo spettacolo, in due scorrevoli atti, stavolta associa in modo più evidente due figure emblematiche del panorama sociale, teatrale e dell’informazione catanese quali Nino Martoglio e Pippo Fava. Due figure messe a tacere per non parlare di determinate magagne socio-politiche, da sempre presenti nella realtà catanese e siciliana in genere.

Sono tanti i punti di contatto tra Martoglio e Fava: ambedue siciliani, intellettuali impegnati fattivamente per la difesa dei diritti civili, coraggiosi creatori di giornali di denuncia, drammaturghi, tolti di mezzo in quanto ritenuti scomodi. Così come l’anno scorso nella pièce predomina l’universo femminile “civitoto”, con le sue invidie, le sue ansie di mostrarsi, mentre meno appariscente è l’immagine dell’uomo che, però, in secondo piano, fa opera di mediazione o si fa valere come uomo d’onore. Eliana Esposito, nel suo assemblaggio, approfondisce il socialismo di Martoglio e la sua capacità di cogliere nella Catania di allora le dinamiche sociali e i divari di classe vigenti.

Lo spettacolo raccoglie episodi di vita civitota tratti da "L’Altalena", "San Giuvanni Decullatu", "Nica", "Lu matrimoniu 'ntra la civita", "U vattìu". Spesso fa capolino nello spettacolo il tema del giornale D'Artagnan, l’unico strumento di opposizione al potere costituito, unica forma di informazione per le masse, che alla fine della commedia verrà messo a tacere, come lo stesso Martoglio, sulla cui morte incombe ancora oggi l'atroce sospetto che non sia stata il frutto di un incidente, ma di ben altro. Idea condivisa da Eliana Esposito e dal regista Elio Gimbo che, con la spinta di Luiginu a Don Procopio, alter ego dello stesso Martoglio e la caduta sulla scena di una specie di asse con in cima un'ascia a mò di ghigliottina, alludono alla supposta morte violenta dello scrittore, spinto giù per l'ascensore di un hotel catanese e simbolicamente alla fine della libertà di parola.

La messinscena si chiude, però, con un finale di speranza che rispecchia l'ideale socialista di Martoglio. Infatti sulle note de "I migliori anni della nostra vita" di Renato Zero i personaggi rientrano in scena sorridendo e si abbracciano l'uno con l'altro e l'ultimo degli ultimi, “Ninu ‘u Babbaleccu”, timido e impacciato, viene onorato e coccolato da tutti. A modernizzare la pièce, di per sè attualissima, contribuisce anche la scelta delle musiche, con brani di Gianna Nannini, Irene Grandi, Fabrizio De Andrè, Renato Zero, Francesco De Gregori che amplificano il pathos e l'emozione e gridano rabbia e voglia di libertà. La scenografia si intona con la linea registica, ovvero rappresentare un ambiente misero, fatiscente, tappezzato di scritte che indicano il pericolo di crollo, pericolo che interessa la società civile, oggi come ieri.

Impeccabile la regia di Elio Gimbo che guida un cast affiatato, che convince e si diverte, a cominciare proprio con Cosimo Coltraro, efficace nel ruolo di Don Procopio. Sulla scena poi, nei vari ruoli, Giuseppe Calaciura (Turiddu Leuriicasa), Carmela Buffa Calleo (la madre e Tina aspirante canzonettista), Cinzia Caminiti (Mara 'Ntrichiti 'Ntrichiti), Laura Giordani (Cuncetta a Sciabacota), Fiorenza Barbagallo (Viulanti Peritunni), Sabrina Tellico (Genia Peritunni), Nadia Trovato (Cicca Stonchiti), Gabriele Arena (Jacubu u Tamburineri), Pietro Lo Certo (Ninu ‘u Babbaleccu), Francesca Penna (Nica), Raffaella Esposito (figlia; Nunzia aspirante canzonettista), Massimo Giustolisi (Luiginu), Daniele Scalia (Messer Rana), Orazio Sava (Messer Rapa).

 
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