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TEATRO, CONVINCE, DIVERTE E FA RIFLETTERE AL "CANOVACCIO" DI CATANIA "CUNFIDENZI DI MARTOGLIO", OMAGGIO DI ELIANA ESPOSITO ED ELIO GIMBO ALL'UNIVERSO MARTOGLIANO 2009-06-01 18:08:05
CATANIA - Continuano con successo fino a domani, 2 giugno, al Teatro del Canovaccio di Catania, le repliche dello spettacolo "Cunfidenzi di Martoglio", un omaggio al grande scrittore e autore teatrale catanese, per la regia di Elio Gimbo, scenografie a cura di Bernardo Perrone, costumi di Rosy Bellomia. L'elaborazione del testo è a cura di Eliana Esposito che ha voluto approfondire il socialismo di Martoglio e la sua capacità di cogliere nella Catania di allora le dinamiche sociali e i divari di classe vigenti. Per far ciò si è soffermata sugli scritti teatrali pubblicati sul giornale D'Artagnan, creato da Martoglio all'età di soli diciannove anni, che mostrano una città malata, infettata dalla piaga dell'immobilismo sociale, di fronte alla quale una rassegnazione velata di cinismo rimane l'unica reazione possibile da parte dei più poveri.
Lo spettacolo, in due atti, raccoglie in sè svariati episodi di vita nella "civita" tratti da "L’Altalena", "San Giuvanni Decullatu", "Nica", "Lu matrimoniu 'ntra la civita", "U vattìu". Si tratta quindi di un collage di pezzi martogliani sapientemente assemblati dalla Esposito che ha inserito e cucito insieme scene tratte da diverse commedie collegandole tra loro per farne un lavoro unico. Tante le tematiche trattate: il potere del vile denaro; il matrimonio, conteso e mercanteggiato in quanto unica speranza di un futuro più roseo per le giovani donne e soprattutto per le loro famiglie; il divario marcato tra le classi sociali; l'onore macchiato che si deve a tutti i costi salvare; il sogno di successo e fama nel mondo dello spettacolo pieno di lustrini; l'incapacità da parte del proletariato di fare gruppo per via di invidie e sospetti reciproci; l'ideale socialista della condivisione che non va più bene quando vengono toccati i propri interessi o messi a rischio i propri beni.
All'interno dell'opera fa poi spesso capolino il tema del giornale D'Artagnan, unico strumento di opposizione al potere costituito e unica forma di informazione per le masse, che alla fine della commedia verrà messo a tacere, come lo stesso Martoglio, sulla cui morte incombe ancora oggi l'atroce sospetto che non sia stata il frutto di un incidente, ma di ben altro.
Idea questa condivisa da Eliana Esposito e dal regista Elio Gimbo che, con la spinta di Luiginu a Don Procopio, alter ego dello stesso Martoglio, e la caduta sulla scena di una specie di asse con in cima un'ascia a mo' di ghigliottina, alludono alla supposta morte violenta dello scrittore, spinto giù per l'ascensore di un hotel catanese, e simbolicamente alla fine della libertà di parola.
La messinscena si chiude però con un finale di speranza che rispecchia l'ideale socialista di Martoglio: sulle note de "I migliori anni della nostra vita" rientrano in scena tutti i personaggi che sorridono e si abbracciano l'uno con l'altro, e l'ultimo degli ultimi, Ninu u Babbaleccu, timido e impacciato, si ritrova ad essere esaltato e onorato, coccolato da tutti.
Il regista ha poi individuato un parallelismo tra Martoglio e il compianto Giuseppe Fava, parallelismo al quale alludono scenicamente le due facciate del giornale sfogliato da Jacubu u Tamburineri: in una è riportato il titolo "D'Artagnan", nell'altra "I Siciliani", giornale diretto appunto da Fava. L'intento registico è poi rivelato apertamente da due quadri che li ritraggono, svelati da Don Procopio verso la conclusione della pièce. Tanti i punti di contatto tra i due: ambedue siciliani, intellettuali impegnati fattivamente per la difesa dei diritti civili, coraggiosi creatori di giornali di denuncia, drammaturghi, tolti di mezzo perchè ritenuti scomodi.
A modernizzare l'opera martogliana già di per sè attualissima contribuisce anche la scelta inusuale delle musiche, apparentemente stridenti con l'epoca rappresentata: brani di Gianna Nannini, Irene Grandi, Fabrizio De Andrè, Renato Zero, Francesco De Gregori introducono e chiudono le scene amplificandone il pathos e l'emozione e gridando un'ansia di libertà e di rivoluzione.
Numeroso il cast: Cosimo Coltraro (don Procopio 'mpallaccheri), Giuseppe Calaciura (Turiddu Leuriicasa), Carmela Buffa Calleo (Madre; Tina aspirante canzonettista), Cinzia Caminiti (Mara 'Ntrichiti 'Ntrichiti), Laura Giordani (Cuncetta a Sciabacota), Fiorenza Barbagallo (Viulanti Peritunni), Sabrina Tellico (Genia Peritunni), Nadia Trovato (Cicca Stonchiti), Gabriele Arena (Jacubu u Tamburineri), Pietro Lo Certo (Ninu u Babbaleccu), Francesca Penna (Nica), Raffaella Esposito (Figlia; Nunzia aspirante canzonettista), Massimo Giustolisi (Luiginu), Daniele Scalia (Messer Rana), Orazio Sava (Messer Rapa).
La scenografia riflette il messaggio generale con un ambiente misero, fatiscente, tappezzato di scritte che indicano il pericolo di crollo, pericolo che riguarda in realtà la società civile, oggi come ieri. Impeccabile il lavoro di regia, originale, che non calca mai i toni e dirige con sicurezza un cast affiatato. Bravi tutti, specie Cosimo Coltraro, efficace nel ruolo di Don Procopio. Entusiasmo da parte del pubblico in sala per un lavoro di qualità, nuovo e interessante, che sa far ridere, sorridere ma anche commuovere e riflettere, mostrando un aspetto meno immediato o scontato della drammaturgia del grande Martoglio. (Maristella Russo)
Leggi l'articolo di Maurizio Giordano I cunfidenzi di Martoglio di Maurizio Giordano
Dopo “I Cunti di Martoglio”, riuscito collage martogliano dello scorso anno, con la cucitura di opere del Belpassese quali “Martimonio ‘ntra la Civita”, “Civitoti in pretura”, “Don Procopiu mballaccheri” e “Taddarita”, con musiche di Luigi Tenco e Paolo Conte, quest’anno il Teatro del Canovaccio di Catania ed il regista Elio Gimbo, a chiusura di stagione, hanno proposto, sempre a cura di Eliana Esposito, "I Cunfidenzi di Martoglio", con la scenografia di Bernardo Perrone ed i costumi di Rosy Bellomia. Lo spettacolo, in due scorrevoli atti, stavolta associa in modo più evidente due figure emblematiche del panorama sociale, teatrale e dell’informazione catanese quali Nino Martoglio e Pippo Fava. Due figure messe a tacere per non parlare di determinate magagne socio-politiche, da sempre presenti nella realtà catanese e siciliana in genere.
Sono tanti i punti di contatto tra Martoglio e Fava: ambedue siciliani, intellettuali impegnati fattivamente per la difesa dei diritti civili, coraggiosi creatori di giornali di denuncia, drammaturghi, tolti di mezzo in quanto ritenuti scomodi. Così come l’anno scorso nella pièce predomina l’universo femminile “civitoto”, con le sue invidie, le sue ansie di mostrarsi, mentre meno appariscente è l’immagine dell’uomo che, però, in secondo piano, fa opera di mediazione o si fa valere come uomo d’onore. Eliana Esposito, nel suo assemblaggio, approfondisce il socialismo di Martoglio e la sua capacità di cogliere nella Catania di allora le dinamiche sociali e i divari di classe vigenti.
Lo spettacolo raccoglie episodi di vita civitota tratti da "L’Altalena", "San Giuvanni Decullatu", "Nica", "Lu matrimoniu 'ntra la civita", "U vattìu". Spesso fa capolino nello spettacolo il tema del giornale D'Artagnan, l’unico strumento di opposizione al potere costituito, unica forma di informazione per le masse, che alla fine della commedia verrà messo a tacere, come lo stesso Martoglio, sulla cui morte incombe ancora oggi l'atroce sospetto che non sia stata il frutto di un incidente, ma di ben altro. Idea condivisa da Eliana Esposito e dal regista Elio Gimbo che, con la spinta di Luiginu a Don Procopio, alter ego dello stesso Martoglio e la caduta sulla scena di una specie di asse con in cima un'ascia a mò di ghigliottina, alludono alla supposta morte violenta dello scrittore, spinto giù per l'ascensore di un hotel catanese e simbolicamente alla fine della libertà di parola.
La messinscena si chiude, però, con un finale di speranza che rispecchia l'ideale socialista di Martoglio. Infatti sulle note de "I migliori anni della nostra vita" di Renato Zero i personaggi rientrano in scena sorridendo e si abbracciano l'uno con l'altro e l'ultimo degli ultimi, “Ninu ‘u Babbaleccu”, timido e impacciato, viene onorato e coccolato da tutti. A modernizzare la pièce, di per sè attualissima, contribuisce anche la scelta delle musiche, con brani di Gianna Nannini, Irene Grandi, Fabrizio De Andrè, Renato Zero, Francesco De Gregori che amplificano il pathos e l'emozione e gridano rabbia e voglia di libertà. La scenografia si intona con la linea registica, ovvero rappresentare un ambiente misero, fatiscente, tappezzato di scritte che indicano il pericolo di crollo, pericolo che interessa la società civile, oggi come ieri.
Impeccabile la regia di Elio Gimbo che guida un cast affiatato, che convince e si diverte, a cominciare proprio con Cosimo Coltraro, efficace nel ruolo di Don Procopio. Sulla scena poi, nei vari ruoli, Giuseppe Calaciura (Turiddu Leuriicasa), Carmela Buffa Calleo (la madre e Tina aspirante canzonettista), Cinzia Caminiti (Mara 'Ntrichiti 'Ntrichiti), Laura Giordani (Cuncetta a Sciabacota), Fiorenza Barbagallo (Viulanti Peritunni), Sabrina Tellico (Genia Peritunni), Nadia Trovato (Cicca Stonchiti), Gabriele Arena (Jacubu u Tamburineri), Pietro Lo Certo (Ninu ‘u Babbaleccu), Francesca Penna (Nica), Raffaella Esposito (figlia; Nunzia aspirante canzonettista), Massimo Giustolisi (Luiginu), Daniele Scalia (Messer Rana), Orazio Sava (Messer Rapa).
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